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Cyberviolenza e Revenge Porn. “L’arma più efficace è la prevenzione”

Laureata del corso di laurea per educatori sociali, Chiara Orri è una delle tre studentesse premiate dalla Commissione per le pari opportunità della Provincia di Bolzano per tesi che trattino le pari opportunità e le questioni di genere. La sua tesi triennale ha esaminato la violenza di genere. L’abbiamo intervistata.

Chiara Orri, quali argomenti ha trattato nel suo lavoro di laurea?

La tesi, che ho scritto sotto la supervisione della prof.ssa Kolis Summerer, è stata incentrata sulla diffusione non consensuale di immagini e/o video intimi online come forma di cyberviolenza e ho analizzato la realtà degli interventi a tutela delle persone colpite. Il primo spunto per l’argomento mi è arrivato proprio dalla relatrice, che è coordinatrice del progetto “Creep”. Inoltre, stavo svolgendo un tirocinio presso l’Associazione GEA di Bolzano, che si occupa di violenza sulle donne. Ho voluto innanzitutto approfondire la forma di violenza indagandone le caratteristiche, le cause e le dinamiche; il fine era di capire come venisse agita questa nuova tipologia di violenza virtuale dei nostri tempi, vista la sua preoccupante diffusione a livello nazionale e globale. Ho poi ritenuto necessario indagare il fenomeno anche nella realtà del nostro territorio.

Come ha proceduto?

Ho suddiviso la tesi in due parti: una teorica, di approfondimento della violenza, e una di ricerca qualitativa. Ho svolto infatti una ricerca sul campo in cui ho realizzato delle interviste qualitative in collaborazione con l’Associazione GEA, con la Polizia Postale di Bolzano e con l’avvocata Elena Biaggioni, che difende donne vittime di violenza. In particolare, ho avuto la possibilità di intervistare due donne sopravvissute al “revenge porn” in carico al Centro Antiviolenza della GEA, le quali hanno accettato di raccontarmi la loro difficile storia, dando un contributo prezioso al lavoro di ricerca. Ho infatti deciso di dedicare il premio vinto a loro, come doveroso riconoscimento al loro coraggio e alla loro resilienza. Chi si rivolge ai centri antiviolenza è solo una minima parte delle persone che subiscono la violenza in questione, il quale rimane molto difficile da gestire.

Come mai?

Si tratta di un tipo di violenza che ha un impatto enorme a livello psicofisico e sociale. Oltre alla forma di violenza in sé, bisogna sempre tener conto dei caratteri di massima accessibilità e viralità di Internet, rivelatosi un’arma a doppio taglio che dev’essere maggiormente controllata. Infatti, non solo l’intimità di una persona viene deliberatamente violata, ma questa viene resa propriamente accessibile a tutti attraverso il web. Pur non trattandosi di una violenza diretta, agita fisicamente, provoca ugualmente dei danni irreversibili. Le persone colpite, infatti, oltre all’umiliazione pubblica, subiscono anche un processo di vittimizzazione che le porta a provare vergogna e sensi di colpa, pur non avendo alcuna responsabilità per la violenza subita.

Chi sono le vittime?

Si tratta di un fenomeno molto trasversale. Non c’è un target specifico, chiunque può esserne colpito: persone di qualsiasi età, sesso, etnia, livello di istruzione e posizione sociale. Sicuramente esistono fattori di rischio. Si pensi al sexting, cioè la condivisione (consensuale) tramite messaggio di contenuti a sfondo sessuale con il/la partner, pratica particolarmente diffusa tra gli adolescenti (ma non solo).

Ci sono gli strumenti legali per affrontare il problema della tutela delle vittime?

Sì, esiste l’articolo 612-ter del Codice penale che disciplina propriamente il reato di “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” ed è stato introdotto nel 2019 dal cosiddetto “Codice Rosso”. L’introduzione della normativa specifica è certamente un grande passo in avanti, anche se, approfondendone il contenuto e confrontandomi con i profili professionali intervistati, è emersa la necessità di implementarla. Per fare un esempio lampante, il dispositivo di legge non prevede la rimozione da Internet dei contenuti intimi diffusi illecitamente, che è chiaramente l’obiettivo primario delle vittime. Gli esperti sono concordi nel ritenere necessario un intervento multidisciplinare non solo giuridico, ma anche psicosociale, che prenda in carico il benessere della persona su più livelli e il suo recupero dopo esperienze traumatiche. A mio parere, l’intervento più efficace rimane la prevenzione sia per quanto riguarda i pericoli legati alla diffusione di contenuti intimi in rete, sia per quanto riguarda il tema della violenza di genere. Quest’ultima, esercitata online e offline, rimane un serio problema che interessa l’intera società e non solo le persone colpite. In quanto tale, il suo contrasto deve necessariamente costituire una priorità per tutti.

(zil)