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“Formazione diffusa per promuovere l’aggiornamento dei lavoratori“
Intervista con il prof. Mirco Tonin che la ritiene una delle possibili soluzioni per contrastare l’obsolescenza delle competenze professionali nel mercato del lavoro 4.0.
Lavoro 4.0 Professioni e competenze del futuro è il titolo del convegno che si svolgerà oggi, dalle 8.45 alle 12.30 in aula D1.02, nel campus di Bolzano. Organizzato dall’AFI-IPL in collaborazione con la Facoltà di Economia, il convegno si concluderà con una tavola rotonda cui parteciperà anche il prof. Mirco Tonin, docente di Politica Economica.
Prof. Tonin, se i dirompenti mutamenti tecnologici che stanno cambiando il mondo della produzione e dei servizi necessitano di una formazione costante, come cambia il ruolo dell’università?
L’università ha una parte fondamentale nella preparazione dei futuri professionisti, nella diffusione di competenze che rendano il lavoratore capace di adattarsi alle trasformazioni in atto. Abbiamo però anche un altro ruolo, meno ovvio ma altrettanto importante: quello di promuovere la formazione continua delle persone che stanno lavorando. Questa, in futuro, dovrebbe trasformarsi in una “formazione diffusa”.
Di cosa si tratta?
Ad esempio, un evento scientifico come quello di oggi, di taglio divulgativo, è formazione. E’ interessante e formativo per un dirigente delle risorse umane di un’azienda, pubblica o privata, o per un dirigente scolastico, per un imprenditore o un sindacalista, anche se non dà accesso ai crediti formativi. L’accumulazione di crediti a volte rischia di trasformare la formazione in un mero esercizio formale, cosa che non dovrebbe essere. Organizzare più eventi di questo tipo e facilitare la partecipazione pubblica, potrebbe essere un campo in cui l’università si attiva sempre di più, anche in accordo alla sua terza missione di sostegno allo sviluppo del territorio. Un altro esempio è l’evento sulle ripercussioni dell’economia comportamentale sulle politiche pubbliche e le strategie d’impresa organizzato per il 13 novembre.
L’università come può riuscire ad adeguare la sua offerta formativa in maniera adeguata?
Siamo avvantaggiati, credo, rispetto ad altri tipi di istituzioni formative più direttamente professionalizzanti perché già adesso forniamo capacità di pensiero, metodologie e strumenti che permettono agli studenti di adattarsi, con le conoscenze acquisite, a scenari professionali futuri, difficilmente prevedibili sul lungo periodo. Inoltre, non insisterei troppo sulla tecnologia come unico fattore che influenza il cambiamento professionale e sociale.
In che senso?
Per esempio, una figura come quella del casellante autostradale avrebbe dovuto scomparire da tanti anni, stando agli sviluppi di tecnologie come il telepass. Ma vediamo che non è così. Ci sono dunque dei freni a livello sociale e politico al cambiamento tecnologico, indipendentemente dalle inefficienze che possono causare. Le macchine non sostituiscono il lavoratore o tutti i lavoratori automaticamente. Si tratta di un processo più mediato, che va guidato, anche con il contributo della ricerca universitaria in ambito economico e sociale.
Come si supera l’"effetto San Matteo", secondo cui accedono alle risorse della formazione continua soprattutto quei lavoratori che già sono maggiormente formati, mentre ne rimangono esclusi quelli sottoqualificati?
Questo è un tema importante. C’è il rischio evidente di una polarizzazione del mercato del lavoro, tra pochi vincitori e molti perdenti. Spetta alla politica e alla parti sociali trovare soluzioni per contrastare questa tendenza e creare una società più inclusiva. Lasciato a sé, lo sviluppo tecnologico, può infatti produrre effetti sociali non desiderabili.
A livello locale, ciò che effetti avrebbe?
Oltre agli effetti diretti, ci sono anche effetti indiretti potenzialmente importanti. Se ad esempio in Germania ci fosse una polarizzazione crescente nel mondo del lavoro indotta dai cambiamenti tecnologici, ciò si potrebbe tradurre in una perdita per l’economia turistica locale: pochi lavoratori con alto salario ma molto stress e poco tempo – che quindi non trascorrono molto tempo in vacanza e magari altrove –, tanti lavoratori con basso salario e quindi ridotte possibilità di spesa e di trascorrere vacanze sulle Dolomiti, come avviene ora. Se invece la polarizzazione fosse contrastata incentivando una diffusione dei guadagni dovuti ai miglioramenti della tecnologia, magari diminuendo le giornate di lavoro durante l’anno, ciò potrebbe portare a una domanda turistica costante o in crescita in Alto Adige.
(zil)